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Psichico 80/ Modem e tabù

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Carillini tutti.
Giacché era un po’ troppo tempo che non vi somministravo degli psichici postarelli, ve ne cucinerei uno adesso – che mi è germogliato in testa la settimana scorsa, in conseguenza di un interessante intervento presso I pronipoti – dove si manifestava una forte delusione nei confronti di Face Book. Delusione con cui io facevo fatica a entrare in sintonia, dal momento che non ho mai sentito l’illusione: anzi, io avevo dei convincimenti talmente pessimi a proposito di Face Book, che ora ne penso relativamente meglio. Poco eh, molto poco.
Riflettevo però sul fatto che, Face Book a parte, tutte le volte in cui ho scritto di rete, di abitare la rete, di internet e anche di blogosfera, ho sempre parlato delle cose positive della rete, ho sempre scritto reagendo alle critiche mitiche e allucinate - tipo Bruno Vespa, tipo vostra bisnonna – che di rete non sapevano niente. Ho sempre difeso la rete, e con lei il mio starci dentro – ma ecco, mi rendevo anche conto che la rete ha degli aspetti patologizzanti, e di questi aspetti non parlavo mai.
Lo farò adesso, con le righe che vengono ora.
È Natale e i tavolini hanno il velluto bordeaux, e sopra una serie di questioni Natalizie quali biscotti allo zenzero e cannella, pandori, panettoni torroni, e chi più ne ha più ne metta. Sulla destra svariati superalcolici natalizi, che me lo dite voi quali sono – anzi li portate da casa.

Probabilmente in molti già lo sapete, ha aperto all’ospedale Gemelli uno sportello per chi soffre di dipendenza da Internet. Lo cito perché il termine dipendenza rinvia a un mondo clinico e a situazioni psicologiche che sono molto ben definite e che se prese in esame illuminano questioni che forse non si consideravano con attenzione. Dire che esiste una dipendenza da internet implica infatti due conseguenze logiche: che internet ha qualcosa in comune con altri elementi che creano dipendenza: tabacco, alcool, droga, cibo, gioco d’azzardo e che gli utenti di internet hanno qualcosa in comune con tabagisti, alcolisti, tossicodipendenti, anoressici, giocatori. Si tratta di una considerazione utile per molti motivi – li elencheremo tutti qui di seguito, ma cominciamo subito da quello che scagiona internet dalla demonizzazione. Ogni dipendenza ha nel suo spettro interno la possibilità di una libertà. Ogni dipendenza ha da un lato della distribuzione dei suoi fruitori, un lato di gestione responsabile e moderata – che gode dell’oggetto senza esserne posseduta. Così come giocare ogni tanto può essere eccitante, una dieta ben fatta può essere salutare, una bottiglia di Nebbiolo può essere sacra, uno spinello non ha mai ammazzato nessuno e forse manco due– Internet è utile, divertente etc. Vale anche un’altra considerazione: ci sono persone che per struttura psicologica sono più impermeabili di altre allo scivolo dell’abuso: certi attraversano inferni uscendo indenni – pulendosi la giacca con un semplice colpo della mano.
Di altri invece - rimane solo la giacca.

L’oggetto che crea dipendenza è tale - in tutti i casi – in virtù di una speciale identità paradossale. Esso è il partner di una relazione in cui si ha la sensazione di poter comandare sempre, è una specie di oggettività desoggettificata. Lo prendiamo, lo scegliamo, lo godiamo, lo usiamo ne riceviamo ma non ne siamo teoricamente posseduti. Spesso funziona da filtro nei confronti del mondo esterno: da cuscino – una specie di mediatore dei rapporti. È fantastica questa capacità dell’oggetto di essere eccitante ma dominabile, vincere a un tavolo da gioco, sniffare della cocaina, vedere di aver perso dei chili, provare un entusiasmo indotto dall’oggetto e poter dire – smetto quando voglio. La dipendenza ha sempre questa luna di miele sadica all’inizio: una specie di amore cattivo il cui dato saliente è: mi fai godere ma ti potrò lasciare senza sentirmi in colpa. Perché tu sei una cosa. Una cosa incredibile ma pur sempre una cosa. Una cosa da relativizzare magari per dei modesti vantaggi strumentali – mangio poco perché ho la cellulite, fumare mi rilassa perché questo periodo lavoro tantissimo, bevo solo con gli amici. La dipendenza ha nel suo cuore l’essenza del vizio, il quale ha da sempre una connotazione negativa perché è il godimento di un’asimmetria dove l’alto si mette al livello del basso – credendo di fare il contrario.

Spesso la dipendenza ha anche una strutturazione culturale e identitaria: i dipendenti si aggregano in gruppi e assemblano linguaggi, e valori, e alleanze: creano micromondi che si strutturano in un’opposizione rispetto al contesto esterno, e in cui poter mettere in atto percorsi psicologici fortemente autodistruttivi: come meccanismi di difesa piuttosto arcaici: la scissione e la proiezione: noi siamo i buoni gli altri sono i cattivi, noi abbiamo fatto una scelta estrema – benedetta o maledetta che sia è secondaria essa è fuori dall’ordinario e quindi in opposizione alla logica esterna. Noi siamo perciò incomprensibili agli altri e di conseguenza non possiamo più comprendere gli altri, Noi del dentro siamo ovvero scalzati dalla comunicazione con l’esterno. Quindi noi ci organizziamo e sopravviviamo nel nostro codice interno nutrendoci dei rimandi alla nostra dipendenza, e quando ci stiamo dentro fino al collo capitoliamo alla relazione con l’esterno.
Ne sanno qualcosa le mogli degli alcolisti, le madri delle ragazze anoressiche, i partner dei giocatori d’azzardo che un mattino si svegliano e non hanno più una casa.
Oppure fatevi un giro su certi siti, per esempio di ragazze anoressiche – e toccate con mano la cultura dell’autodistruzione.
Di poi ragioniamo sulla differenza che c’è tra autarchia e embargo.

La questione saliente è che, la comunicazione è nutrimento, e senza comunicazione sostanzialmente si schiatta. L’oggetto che crea la dipendenza ha il magico potere di fornire un surrogato del nutrimento, ma alla lunga rivela la sua corda paradossale. Il mondo di fuori si sente sempre di meno, il bisogno aumenta sempre di più, e il vice mondo che ci siamo scelti è chiamato a esaurire quantitativi sempre maggiori di surrogato di nutrimento, di panacea dei desideri umani – tirandoci dentro a una rincorsa infinita: la luna di miele dell’inizio della relazione si rovescia allora in uno schema identico e contrario: il dipendente è diventato l’oggetto relativizzabile che è posseduto dalla dipendenza e che solo la dipendenza sembrerebbe poter lasciare per un atto magico – facendolo schiattare d’angoscia. Perché la dipendenza ha questo particolare – di essere una relazione. Posso smettere quando voglio, dice la dipendenza il giorno in cui la droga non si trova.
Senza sensi di colpa.

Ora parliamo della rete – e cominciamo dalla scaltra quanto sinistra campagna pubblicitaria di yahoo.it che rinvia all’essenza dello stare in rete, e della dipendenza: andate a vedere qui, cliccando ripetutamente.
La campagna fa vedere dei mezzi volti di persone – target 30-50 anni – reali, anche simpatiche, gente come noi ecco, colle rughe, la giacca dell’ufficio, il bimbo in braccio – le quali non guardano mai dirette a te ma guardano intorno, e addosso portano i simboli dei grossi portali come che so – Facebook, flickr, Twitter – uno tatuato, uno invece stampato sulla camicia. La donna con in braccio il bambino ha ebay sul marsupio. Ma la parte scaltra e interessante è lo slogan, che dice: finalmente un mondo che ti somiglia!
Finalmente un mondo che ti somiglia! Che vi fa pensare?

In primo luogo la pubblicità ammicca a una presunta insoddisfazione del mondo reale. Meglio la induce. Non ci pensavamo affatto noi a essere tristi perché il mondo reale non ci somiglia, non è fatto di affinità, ma ora che la pubblicità ce lo ricorda pensiamo che è vero: e la pubblicità sa che noi internauti, chiamati su internet in quanto tali, amiamo la rete per la sua capacità di creare agglomerati di affini. Finalmente! Finalmente! Prima no ora si! Prima eri costretto a confrontarti con gli altri! Ora puoi scegliere solo ciò che è meno altro da te! Non ci avevi pensato?
Il mondo che ti somiglia – è il miglior oggetto generatore di dipendenza che c’è sulla piazza. La pubblicità lo sa: ti fa vedere questo ibrido umano con un piede nella realtà le rughe, il bambino, il posto di lavoro, e addosso – come se fossero parti di lui i simboli della rete. E bay: L’immagine ti vuole dire psicologicamente che tu possiedi la rete, che tu te la porti nel mondo e non è lei a trascinarti dentro: vedi i protagonisti dello spot? Hanno una vita. Ossia la pubblicità rinvia alla luna di miele sadica dell’inizio. Puoi averla e lasciarla senza traumi. Puoi possederla. E rinvia all’illusione tradizionale di ogni oggetto che genera dipendenza – il mondo non ti serve, il mondo ha delle cose in più che non ti servono e non ti capiscono – perché non hanno il tuo linguaggio.
Non ti somigliano.
Provvedo io a te!

Ogni oggetto che crea dipendenza ha una sua peculiarità, una sua cifra concreta – una sua strategia di funzionamento.
La strategia di funzionamento della rete è sintetizzata nei social nework, Facebook in primis. La peculiarità dell’oggetto rete è quella di fornire un ritratto addomesticato del mondo, e una classe di modalità relazionali con esso che attutisce l’impatto emotivo. Il suo immenso vantaggio cognitivo intellettuale implica una controparte emotiva e psichica in larga parte piuttosto svantaggiosa: quella stessa distesa immensa di immagini e nozioni e conoscenza che ci sono messe così democraticamente a disposizione è una specie di piattaforma psichica vicaria che svolge per noi alcune operazioni emotive vitali, e ci toglie le castagne dal fuoco del confronto psicologico:un conto è vedere coi propri occhi, un conto è leggere il visto da altri. La riproduzione della realtà democratizza la conoscenza della realtà ma simultaneamente la svuota, e a lungo andare ci addestra alla relazione non con essa ma con la sua immagine neutralizzata. Noi con la rete facciamo cioè sempre qualcosa di meno, rispetto al contatto con il reale. La rappresentazione fatta da altri che non siamo noi, toglie al nostro cervello l’onere di rappresentare. Giacchè processi cognitivi e processi emotivi viaggiano su un unico binario noi ci fermiamo in entrambi i casi un paio di fermate prima.
Questo ci mette in una relazione con l’impatto violento addomesticata e fluidificata: ossia in rete – non si rischiano traumi. Non si può essere proprio colpiti. Raggiungiamo il vantaggio della conoscenza e siamo contenti perché è meglio dell’ignoranza – ma questa conoscenza è nella maggior parte dei casi come sterilizzata. Il che ci permette il lusso di scegliere. Di creare nella nostra parte di rete una costellazione di oggetti a cui ci sentiamo più vicini. Nella catena delle immagini innocue – scegliamo quelle ancora più innocue.

Scegliere. Vale anche per le relazioni della rete, per i social network e per i blog. Il fatto che ci contorniamo di affini - nel mio blogroll non c’è io credo un solo blogger di destra – è meno eclatante delle cose pazzesche sul piano relazionale che la rete concede e che la realtà non permette affatto. Una persona viene su questo blog scrive un commento che io trovo insultante e io lo cancello: psicologicamente è un atto che rinvia a una fantasia di onnipotenza allucinante: io posso cioè cancellare quella persona, posso decidere che non esista. Posso scrivere una cosa a una persona e spesso posso pentirmene e cancellarla. Su Facebook posso fare in modo che una certa persona non acceda al mio profilo. Posso arginare cioè la sua esistenza presso di me. Posso arginare la mia esistenza presso di lui. In questa illusione delirante di dominio nel mondo della relazione – c’è la quintessenza dell’oggetto che crea dipendenza. E’ la frontiera più avanzata della sostituzione di mondo. Al punto tale che – quando la rete si rivela come tale – perché tra la copia e l’originale rimane un’abissale distanza e rivela il suo limite ci sono orde di delusi. Che proiettano la propria delusione su un settore della rete piuttosto che un altro. A un certo punto c’erano i delusi della blogosfera, che uh non bastava, uh la gente scrive solo di cazzate personali, uh ma mi sa che Proust non abita qui – e approdava a Facebook.
Ora ci sono i delusi di Facebook: orrore orrere! Facebook è superficiale! Facebook non ci si pole avere la conversazione ricca! Facebook è pieno di cretini!
Cioè non si capisce perché la rete debba avere una incidenza di cretini minore della realtà – se non per idealizzazione. Tuttalpiù essa può produrre un’incidenza maggiore rispetto alla realtà, in ragione del fatto che la complessità nella riproduzione è sempre diluita. Complessità e cretini sono inversamente proporzionali.
E di Proust ne nasce uno al secolo.

Parallelamente, i dipendenti dalla rete hanno tanto in comune con gli altri dipendenti. Non solo come dicono quelli del Gemelli, i sintomi della crisi di astinenza – la tachicardia, l’ansia, il bisogno urgente di rifocillarsi dell’oggetto – devo controllare quante visite ho avuto oggi! Devo vedere assolutamente se quella persona ha scritto su Fb! – ma anche la funzione assolutamente isolante e autoreferenziale – diciamo onanistica dello stare nella dipendenza. In questo senso – le persone che hanno una relazione con un alcolista, con un tossico, o con uno che passa decine di ore a controllare la rete ossessivamente hanno la medesima sensazione di essere reificate – di rimanere accanto all’altro come simulacro svuotato di umanità senza che questa umanità sia più vista. Quando la dipendenza dalla rete prende completamente - il comportamento del dipendente è uguale a quello di tutti gli altri, i quali trattengono i loro oggetti relazionali solo al fine di dissimulare lo statuto della dipendenza, e al fine di non essere completamente affogati nella dipendenza – ma le loro relazioni sono completamente svuotati: il mondo che finalmente è somigliante ha preso il posto di quell’altro – senza neanche il bisogno delle dinamiche neurofisiologiche che cementificano le dipendenze con le sostanze psicotrope

Mi fermo qui. Ho la sensazione che ci siano ancora moltissime cose da dire – davvero molte. Io stessa provo un senso di incompletezza ed insoddisfazione. Perché avrei voluto parlare di questo mio blog, e di come questo blog, o altri come questo si debbano collocare in questa cornice. Mi piacerebbe discutere con voi cioè se all’interno di questo nostro mondo – che si spera abitiamo in modo sano e libero dalla parte giusta cioè della campana, ha delle valvole di sicurezza o delle zone di controtendenza. Mi piacerebbe discutere dello specifico di un mezzo – che ha la peculiarità di non mandarti in overdose, di non procurarti la cirrosi epatica e il naso rosso, un mezzo innocuo parrebbe biologicamente, che però in certi casi è capace di strapparti dal mondo.
Mi affido al dibattito.


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